Siddharta di Hermann Hesse

04.02.2015 17:15

 

È stato considerato dallo stesso Hesse un “poema indiano” il romanzo presenta un registro molto originale che unisce lirica ed epica, ma anche narrazione e meditazione, elevazione e sensualità, e che lo rende tutt'ora affascinante.
Il libro narra la vita di Siddharta, giovane indiano, che cerca la sua strada nei più svariati modi. Fin da subito il narratore si dimostra esterno ed onnisciente poiché, benché faccia intuire che la storia di Siddharta sia tra le più particolari, non esprime un suo punto di vista. Si può dire che la focalizzazione sia quella del giovane.
Infatti è attraverso i suoi occhi che noi vediamo un’India del VI secolo a.C. dominata da molte religioni, da molti modi di vivere, da realtà e ipocrisie.
Siddharta inizia il suo viaggio fiancheggiato dall’inseparabile amico d’infanzia, Govinda, il quale lo ha sempre visto come un saggio. I due decidono di andare a vivere con i "Samana", pensatori che vivono di poco o nulla, che imparano a immedesimarsi con tutto ciò che incontrano. Così fa infatti Siddharta. Dopo aver vissuto con loro, lui e Govinda decidono di andare a vedere il Buddha Gotama, alla quale setta Govinda decide di aggregarsi. Siddharta rimane quindi solo e arriva in una città, dove conosce la bella Kamala.
La straordinaria maestria di Hesse è ben visibile nei capitoli riguardanti Kamala, in quanto non la nomina mai con un appellativo dalla connotazione negativa, ma lascia intuire il lavoro, moralmente poco "elevato", della donna. Siddharta decide di imparare l’amore da lei e tramite quello apprende i vari modi di lavorare, di guadagnare, di spendere e di divertirsi.
Il personaggio dell’autore che dapprima sembrava “immacolato” si dimostra soggetto alle debolezze umane, lui che considerava male quei comportamenti e che se ne considerava superiore.
Dopo anni e anni passati con Kamala, Siddharta si dispera, capisce il suo errore e scappa. Qui si ha il climax del libro, Kamala abbandonata dall’uomo che ama e da cui sa di non essere amata porta in grembo un figlio destinato a chiamarsi come il padre. Anche senza dichiararlo apertamente, l'autore lascia intendere che Siddharta incontrerà il figlio.
Questo succederà solo dopo un lungo periodo di transizione dell’ormai uomo Siddharta che, dilaniato dai rimorsi per il suo stile di vita degli ultimi anni, ipotizza per sé il suicidio come forma estrema di purificazione. Ma il caso, forse il destino, lo aiuta: incontra Govinda. L’amico da subito non lo riconosce, anzi si ferma pensando di aiutare uno sconosciuto. L’incontro tra i due è toccante, ma quando si separano si ha di nuovo la sensazione che si rivedranno.
Siddharta ha ritrovato un motivo di vita e cerca una nuova strada, che trova sulle sponde dello stesso fiume nel quale pensava di porre fine alla sua vita. Un vecchio barcaiolo di nome Vasudeva ci abita e condivide con Siddharta l’idea che il fiume sia vivo, che parli, che insegni. Siddharta decide di rimanere con Vesudeva da cui imparerà molto, anche durante i lunghi silenzi.
Un’altra scena toccante si ha con il passaggio di Kamala che è in viaggio per trovare Gotama, il Buddha ormai morente; con lei c’è il piccolo Siddharta. Un serpente morde la madre, il piccolo piange e richiama l’attenzione del padre che, riconosciuta la donna, cerca di aiutarla, ma tutto è inutile. Ora Siddharta ha un figlio da crescere. Come in tutti i romanzi c’è l’antagonista dell’eroe, ma è un paradosso: di Siddharta è lo stesso figlio. Il giovane ragazzo è ribelle, non lavora, si annoia, non vuole imparare: totalmente il contrario del padre. Dopo anni di sofferenza, il figlio scappa e Siddharta è costretto a lasciarlo andare: sono troppo diversi per poter convivere. Questo episodio, inoltre, induce Siddharta a pensare a quando anche lui aveva abbandonato suo padre e al dolore che gli aveva sicuramente procurato. Un giorno anche il vecchio barcaiolo lascia Siddharta, recandosi nella foresta, alla ricerca anche lui di altre conoscenze.
E qui si chiude il libro, nel rincontro di Siddharta e Govinda, ormai vecchi, vissuti, sapienti. L’amico ancora una volta non riconosce Siddharta, invecchiato, cambiato. Si raccontano le vite, ma soprattutto Govinda chiede all’amico quale sia, dopo tutti questi anni, la sua filosofia e Siddharta attua un monologo a dir poco affascinante.
Ora c’è da chiedersi se quel che Hesse fa dire al suo personaggio non sia altro che quello che lui ha dedotto da anni di studi sui libri del nonno, ma su una cosa non si può che essere d’accordo: Siddharta è un Buddha.
Ciò che trasmette questo libro non è solo un insegnamento morale, ma una lezione di vita su come giudicare per essere giudicati, su come cercare la conoscenza e su come anche il più puro degli uomini si possa ritrovare nel peccato.

 

Nadiezda